Jazz Madeleines: Enrico Intra ricorda Chet Baker
Chet Baker... impenetrabile come tutte quelle persone “impacchettate” da sostanze chimiche. Molto difficile entrare nel loro mondo, pieno di illusioni miste a fantasie inconsce. Lo salvava il dono ricevuto dalla natura. La sua particolare predisposizione musicale lo sollevava da una vita faticosa, drammatica. Costretto sempre a elemosinare particelle di vita chimiche. Peggio sono stati i falsi compagni che, secondo loro per aiutarlo, gli riempivano le tasche di allucinogeni.
Nei momenti di astinenza frullava anche Optalidon e altro pur di respirare schegge di vita. Le attenzioni egoistiche di alcuni del branco: pur di sentirlo suonare lo riempivano di vuoto. Suonava benissimo. Un poeta. Un suono unico. Un suono suo quando l’equilibrio chimico non sforava per entrare in circolazione direttamente nelle vene. Quando non era oltre il limite, lo apprezzavo.
Altro non posso e non voglio ricordare per non sentirmi moralista. In fondo, siamo padroni del nostro destino. Destino che Chet aveva venduto e affidato ad altri come lui. La sua musica sarebbe potuta durare più a lungo. E’ morto malamente. Questo mi addolora. I poeti non devono morire. Spesso ricordo il suo suono quando lo confronto con chi osa imitarlo. Il suo suono era solamente suo. Ci s’incontrava anche d’estate a Pietrasanta, in Toscana, alla Bussola di Bernardini. Si concedeva al pubblico sino a notte tarda, al Bussolotto. Mi ricordo anche a Milano, al Santa Tecla, qualche volta ho suonato con lui. Il resto fa parte della Storia del Jazz contemporaneo. Gerry Mulligan non avrebbe creato un quartetto privo di supporto armonico senza il suono di Chet che si intrecciava cavalcando quello di un altro grande artista del suono. E’ tutto.
(Enrico Intra)